Cagnin, il canestro va ora in pensione
«Una fase della mia vita che si
chiude: quasi sempre bella ed entusiasmante. Bisognava fare
una scelta»
Eddy Cagnin, il capitano per sei stagioni
della Melsped-Triveneta-Gattamelata (dal 2005 a quest'anno)
lascia l'attività agonistica. Un annuncio meditato e
rinviato, fatto quasi a mezza bocca, ma che mette un punto a
una carriera professionistica di 18 anni e con oltre 500
partite giocate. «È così.
A un certo punto bisogna fare una scelta e la mia vita
adesso è riempita dal lavoro (nel settore dell'arredamento,
ndr) e dalla famiglia. Da quando sono nate le mie figlie
Maddalena e Benedetta mi sono reso conto che voglio passare
più tempo con loro e con mia moglie Valeria, che ha avuto
tanta pazienza in questi anni di domeniche sui parquet
italiani».
Dispiaciuto? «È una fase della vita che si chiude:
quasi sempre bella ed entusiasmante. Avevo anche pensato di
prendermi un anno sabbatico, ma a 38 anni chi voglio
prendere in giro? Non sarei più lo stesso».
Una carriera iniziata nelle giovanili della Virtus
Padova. «Bellissima esperienza, con due grandi dirigenti
come Bernardi e Papa. Sono l'anima di una società che resta
sempre uguale a se stessa, viva e combattiva, in campo e
fuori». Sono stati loro a spedirlo in Campania. «Era il
1993, ho giocato un anno a Battipaglia in B1, dove il grande
Stefano Michelini mi ha plasmato come giocatore
professionista; e poi ho fatto due stagioni in A2 a Napoli,
dove giocava un americano fortissimo, l'ala Gerald Glass. Lì
ho disputato la migliore partita della mia carriera, una
semifinale promozione con Cantù».
La dimensione di Cagnin era però la B d'Eccellenza,
dove tornò nel 1996 per nove stagioni di fila: Imola,
Ferrara (due anni), Montegranaro, Riva del Garda (due anni),
Lumezzane e infine due stagioni con l'Acqua & Sapone a
Padova. «Tutti anni con grandi ricordi, ma quando sono
tornato a Padova l’ho fatto anche perché volevo iniziare a
lavorare e sposarmi, cosa che è successa nel 2004».
Poi è iniziata l'epopea Melsped-Triveneta: «L'incontro
con Bosello e poi con Franceschi ha dato inizio al periodo
più bello della mia carriera. Mi hanno fatto sentire
partecipe di un progetto, ma forse sarebbe più giusto
definirlo un sogno: quello di riportare Padova nel grande
basket. Sono stati anni magnifici, mi sono sentito un
protagonista e non solo in campo; possono sembrare solo
parole, ma io quella maglia me la sono sentita addosso come
una seconda pelle». È stato tutto bello? «Direi di sì, ma le
finali promozione perse con Bassano e Verona sono state due
mazzate, però vissute in un clima straordinario di
entusiasmo e con la fiducia che la storia non finiva lì.
Invece è stato molto doloroso vivere la fine di quel sogno,
nel modo che tutti sanno».
L'ultima stagione ha influito sulla decisione di
smettere? «In parte sì, l'avventura era terminata e altre
cose hanno preso il posto del basket». Cosa resta? «Grandi
ricordi e grandi personaggi».
Vuole ricordarne qualcuno che non ha già citato? «Sì:
Fabio Capelli che è un grande amico, oltre che un ottimo
giocatore, e Daniele Rubini, un bravissimo coach con cui ho
avuto un grande rapporto di campo e che mi ha sempre dato
fiducia». Adesso che è finita, cosa le mancherà? «Non lo so,
ma è stato tutto splendido. E divertente». Sì, è stato
davvero divertente. E allora grazie di tutto capitano. Con
il cuore.
(Daniele Pagnutti)