NEW
YORK - Sulle gradinate del Madison Square Garden la sua
maschera sorridente si moltiplica; fuori del tempio del
basket della Grande Mela spuntano cartelli con inni
vergati per la "Linderella Story", paragonando la sua
fresca ribalta alla favola di Cenerentola. I media
parlano di "Linsanity", la malattia che prende i suoi
fan, ma che ha colpito anche il primo tifoso d'America,
Barack Obama. Jeremy Lin, un giovane di 1,90 classe
1988, sta facendo miracoli, trascinando i Knicks.
Martedì, dopo 27 punti e 11 assist, ha schiantato i
Raptors di Toronto (privi del "Mago" Bargnani) con una
bomba da tre a un secondo dalla fine. Passate 24 ore,
contro Sacramento, il baby-play in 26 minuti ha segnato
10 punti e piazzato 13 assist. Il nuovo fenomeno ha
fatto dimenticare le assenze delle due star di New York
Amare Stoudemire (appena rientrato) e Carmelo Anthony.
Tanto che il pivot Tyson Chandler ha detto: «È arrivato
e ha ridato vita al Madison Square Garden».
Così la febbre è esplosa
incontenibile. E pensare che Jeremy meno di un mese fa
non esisteva per l’Nba. Nemmeno considerato nel draft
2010 e poi bocciato da un paio di team. Ripescato da
coach Mike D'Antoni per sopperire agli infortuni, il
"cinesino", dal debutto del 28 gennaio, ha sbalordito
tutti. Nato a Palo Alto, in California, da una famiglia
di emigranti di Taiwan, alti ambedue 1,65, questo
ragazzo laureato ad Harvard (perché manco lui ci
scommetteva sul basket e quindi ha pensato bene al pezzo
di carta) è il primo americano-taiwanese a giocare in
Nba. È un fenomeno anche economico. Meno di due
settimane fa per comprare un biglietto per i Knicks
bastavano 270 dollari, ora si spende il doppio. È "Linflation".
I diritti tv delle partite del team sono aumentati del
70%, la maglietta numero 17 è la più venduta sul sito
della Nba. La Nike ha annunciato una campagna tutta su
di lui, e attorno alla "Linsanity" si calcola che
crescerà un business di merchandising e diritti tv, tra
Usa e Asia, di centinaia di milioni di dollari.
Ma questo incredibile successo sta
provocando anche polemiche a sfondo razziale. Il basket
è uno sport nero per eccellenza. E, al di là dei
complimenti e dei sorrisi dei compagni di squadra, il
fatto che un orientale tolga la scena agli
afro-americani comincia a dar fastidio. Floyd Mayweather,
campione mondiale dei pesi massimi, ha chiarito su
Twitter ciò che pensano in molti: «Lin è un buon
giocatore, ma tutta questa montatura è perché è
asiatico. I giocatori neri fanno lo stesso ogni sera e
non scoppiano tutte queste lodi». Frasi ingenerose, che
hanno scatenato la polemica. Il Washington Post titola:
«Lin e la razza: la bigotteria nello sport non è niente
di nuovo». Solo il tempo chiarirà se sia nata una stella
oppure se stia passando una meteora. Ma l’ex campione
cinese dell’Nba, Yao Ming, si sbilancia: «Se continua
così può diventare un All Star».